Monograph

 

Verso la fine del 2012, ho deciso di pubblicare una monografia in Brossura edizione limitata di 500 copie, con una selezione di alcuni dei miei lavori fotografici, di digital art e digital paint, a cura della storica dell’arte Laura Fanti che ha scritto la recensione e i testi di alcune mie opere.

Recensione su di me a cura della storica dell’arte Laura Fanti

Alessandra Minotti:

Astrarre la purezza dalla materia visibile è una delle sfide più ardite per gli artisti. Gran parte della storia dell’arte nasce da un continuo contrasto tra resa materiale dell’invisibile e spiritualizzazione di ciò che di più materico o materialistico abbiamo sotto gli occhi. In pittura tutta l’arte religiosa e l’arte astratta sono i poli estremi di questa dialettica. Ma in fotografia come stanno le cose? L’arte che per suo statuto interno riproduce il reale come dato di fatto, come vive questa antinomia?

E’ noto che la fotografia artistica dei primordi ha tentato di smaterializzare il concetto stesso di fotografia, assegnandole delle categorie più degne di artisticità, come la non riproducibilità e l’effetto pittorico, e solo nei primi decenni del Novecento la fotografia ha trovato la propria strada affermandosi come arte a sé stante, con delle precipue caratteristiche.

Oggi la fotografia vive di contrasti e si divide principalmente in due rami: documento storico (reportage) e sperimentazione artistica. E’ in questa seconda direzione che si orienta il lavoro di Alessandra Minotti (Roma, 1966).

I suoi scatti sono una complessa trama in cui si incontrano desideri, sogni, inquietudini e lotte, dove un’esigenza è sovrana: il bisogno di purezza.

Che nasca da un’esplosione di colori o da un monocromo (spesso sui toni neutri, grigio e ocra) poco importa. Quella che da sempre è un’utopia, la purezza, si diffonde dalle radici della psiche fino a materializzarsi sulla carta in forme inusitate, in armonie o in distorsioni, dove diventa sinonimo di pace, di assolutezza oppure si manifesta come groviglio, come enigma insoluto con alla base la stessa ricerca, quella appunto di una quiete astratta.

Nei suoi lavori il bianco non assume un ruolo definito, non è solo l’incarnazione dell’immateriale, dell’impalpabile, ma è anche la summa di tutto il resto, il bianco è la risultante della mescolanza ottica dei colori, come si sa bene dai tempi di Newton. Quindi neanche il bianco può essere solo foriero di pace.

A questo colore, che ancora è stimato dai più come “non colore”, Minotti ha dedicato recentemente una serie dal titolo “L’immateriale leggerezza del bianco”,  ultima tappa di una ricerca iniziata già anni prima.

“Il bianco e nero è molto drammatico, in questo momento cerco di mettere più colore possibile, forse per autodifesa o per ribellione”. Da queste parole della fotografa emerge il desiderio di non fermarsi al nitido contrasto dato dal bianco e nero, per un’urgenza di andare oltre il segno che delimita, racchiude e non lascia spazio ad altro.
I lavori di Minotti sono all’inverso un continuo espandersi, una ricerca di uno spazio che si dilati e non si fermi alla superficie, così in particolare per gli autoscatti (Blood o Come in uno specchio), dove la tecnica è manipolata al punto da farci perdere coscienza del reale e delle nostre attitudini mentali.

Il risultato è originalissimo, al punto che difficilmente scoviamo gli antecedenti di tale articolato lavoro, solo tornando ai primi vagiti del pictorialism rintracciamo la base di scatti accesi, vibranti, che sembrano oscillare di continuo, quasi un omaggio all’immaginario delle prime avanguardie.

Uno dei suoi primi interessi è la tecnica dell’artwork, alla quale si dedica da venti anni, probabilmente la più affine all’idea che sta dietro il suo modo di comporre, per strutturazione articolata dello spazio che spesso include anche la dimensione temporale. Le sue opere vivono come un organismo che ha continuamente bisogno di linfa, ecco perché si ha l’impressione di percepire il movimento, sia che siano raffigurate linee curve e mosse, sia che l’immagine sia al contrario ferma ma è lo sfondo ad essere fluido.

Molto spesso la dimensione personale si intreccia a quella collettiva, in un continuo scambio tra inquietudini esistenziali e agonie sociali. L’introspezione non è dunque fine a se stessa ma si condensa in una visione totalizzante.

Questo continuo scambio tra io e l’altro, e inquietudini esistenziali (collettive) si rivela il nucleo più intimo del lavoro di Alessandra Minotti, regalandoci immagini originalissime e ricche di messaggi da decifrare.

Laura Fanti

https://laurafanti.wordpress.com

 

An extract of the reviews, at my monograph written by the art historian Laura Fanti:

Alessandra Minotti, Monograph/Catalogue:

The result is original, so much so that hardly find the antecedents of this articulated work, only returning to the first stirrings of Pictorialism trace the base of shots lit, vibrant, which seem to fluctuate constantly, almost a tribute to the imaginary of the first avant-garde.

Quite often, the staff is intertwined in the collective, in a continuous exchange between social existential anxieties and agonies. Introspection is thus not an end in itself but is condensed in a totalizing vision.

This ongoing exchange between self and other, between inner discomfort and existential anxieties (collective) reveals the innermost core of the work of Alessandra Minotti, giving us images original and full of messages to be deciphered.

 

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